mercoledì 25 giugno 2014

Elafonissi, le sabbie rosee di Creta

Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Viaggio sull'isola greca di Creta, sulle acque cristalline del Mar Mediterraneo. Tastando la rosea sabbia della spiaggia di Elafonissi.

di Luca Ferrari

Una spiaggia famosa dove la presenza umana non è lontanamente paragonabile a certi mercati italiani o simili. Natura selvaggia e mare trasparente. Una sabbia meno rosea di un tempo (qualche mano di troppo se n'è portata via), il fascino però è ancora intramontabile. L'effetto cromatico pure. Viaggio sulla spiaggia di Elafonisi, sulla costa sud-occidentale dell'isola di Creta, in Grecia.

Un volo notturno dall'aeroporto di Treviso e poco dopo mezzanotte sono atterrato a Chania (La Canea). L'autobus attende i passeggeri, poi si parte. Sbarcato in centro città, una romantica passeggiata notturna mi da il benvenuto in terra greca. L'indomani, tra un gustoso souvlaki e una fresca insalata cretese, sistemo la pratica per il noleggio auto, e la mia prima destinazione è la celeberrima spiaggia di Elafonisi.

Una strada a zigzag tra uliveti e cedri, quindi l'arrivo. Ampia la possibilità di parcheggio. Giusto un paio di locali dove pranzare (pietanze molto semplice), il resto è solo natura a perdita d'occhio. Caratteristica principale, il fatto di dover camminare nell'acqua per raggiungere un secondo avamposto terreno fatto di sabbia, vegetazione e scogli.

Un po' Croazia. Un po' i Tropici. O più semplicemente, Creta. Il sole scalda ma l'umidità non abita qui. Difficile restare sdraiati senza farsi trascinare dalla voglia di scoperta. Pare una laguna tropicale. Si cammina nell'acqua tra un'insenatura e l'altra. Si gioca nei riflessi. Lo spazio è aperto. L'essere umano si placa.

Nell'infinito scontro tra Greci e Turchi, la leggenda narra che la colorazione rosata della sabbia provenga da sangue umano di centinaia di vecchi e bambini, uccisi dagli Ottomani il 5 maggio 1824. Solo le donne vennero risparmiate per essere vendute come schiave.

La luce si dirada. Piccole onde sovrastano la calma piatta. Quasi tutti i bagnanti si sono già rifugiati nelle pochissime e limitrofe strutture ricettive. Gradazioni di rosso-aranciato prendoni il sopravvento sull'azzurro. Sempre più scuri. Il vento mette quasi freddolino. Non me ne andrò subito via. Questa notte resterò sulla spiaggia di Elafonissi.

Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari
Grecia, isola di Creta – spiaggia di Elafonissi © Luca Ferrari

venerdì 20 giugno 2014

UNHCR, 50 milioni in fuga nel mondo

Richiedente asilo originari del Chad a Dijon (Francia) © UNHCR / J. Tanner
Nella Giornata Mondiale del Rifugiato l'UNHCR ha comunicato che per la prima volta dalla II Guerra Mondiale, sono oltre 50 milioni le persone in fuga nel mondo.


Lo sguardo di un bambino perso nel vuoto. Un foglio scarabocchiato su di un modulo. La biancheria secca stesa in un campo profughi. Il corpo stremato di milioni di creature. Intere esistenze in fuga, alla ricerca di una nuova casa. Oggi più che mai, 20 giugno 2014, nella Giornata Mondiale del Rifugiato, c'è bisogno di una nuova coscienza collettiva per mettere l'Essere Umano al centro dell'agenda della Comunità Internazionale.

Xenofobia in aumento. Partiti politici di stampo razzista in aumento. Emarginazione, violenze e guerre di costante attualità. Secondo un rapporto pubblicato oggi dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni in tutto il mondo ha superato il livello di 50 milioni di persone.

Il rapporto annuale dell'UNHCR Global Trends, che si basa su dati raccolti da governi, organizzazioni non governative partner dell’Agenzia e dallo stesso Alto Commissariato, rivela che alla fine del 2013 si contavano 51,2 milioni di migranti forzati, ben sei milioni in più rispetto ai 45,2 milioni del 2012.

Questo massiccio incremento è principalmente dovuto alla guerra in Siria che alla fine dello scorso anno aveva già costretto 2,5 milioni di persone a diventare rifugiati e altri 6,5 milioni sfollati interni. Anche in Africa si è assistito a nuovi casi gravi di esodo forzato, in particolare nella Repubblica Centrafricana e, verso la fine del 2013, anche in Sud Sudan.

“Siamo testimoni dei costi immensi che derivano da guerre interminabili, dal fatto di non riuscire a risolvere o prevenire i conflitti", ha dichiarato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, António Guterres, “la pace è oggi pericolosamente difficile da raggiungere. Il personale umanitario può costituire un palliativo, ma le soluzioni politiche sono di vitale importanza. Senza di queste, i livelli preoccupanti raggiunti dai conflitti e le sofferenze di massa, che si riflettono in queste cifre, sono destinati a continuare".

Complessivamente gli afgani, i siriani e i somali, che insieme rappresentano oltre la metà del totale dei rifugiati a livello mondiale, costituiscono le nazionalità maggiormente rappresentate tra le persone di cui l'UNHCR si prende cura. Intanto paesi come il Pakistan, l’Iran e il Libano hanno ospitato un maggior numero di rifugiati rispetto ad altri Stati. Se si guarda alle diverse regioni, l'Asia e il Pacifico hanno ospitato il maggior numero di rifugiati, complessivamente 3,5 milioni di persone. L’Africa sub-sahariana ha accolto 2,9 milioni di persone, mentre il Medio Oriente e il Nord Africa hanno visto arrivare sui loro territori 2,6 milioni di migranti forzati.

Oltre ai rifugiati, il 2013 ha visto 1,1 milioni di persone presentare domanda di asilo, la maggior parte dei quali nei paesi sviluppati (nel 2013 la Germania è diventato il paese con il più elevato numero di nuove domande di asilo). Un numero record di 25.300 domande di asilo sono state presentate da minori (bambini che sono stati separati dai genitori o minori stranieri non accompagnati).

“La comunità internazionale deve superare le proprie divergenze e trovare soluzioni ai conflitti che colpiscono oggi il Sud Sudan, la Siria, la Repubblica Centrafricana e altri paesi” ha poi aggiunto Guterres, “È necessario che donatori non tradizionali si affianchino con maggiore impegno ai donatori di lungo corso. Questo perché oggi il numero di persone costrette alla fuga equivale alla popolazione di interi paesi di medie e grandi dimensioni, come la Colombia o la Spagna, il Sud Africa o la Corea del Sud”.

Il totale di 51,2 milioni di migranti forzati a livello mondiale costituisce un enorme numero di persone bisognose di aiuto con implicazioni che si ripercuotono sia sull’entità degli aiuti internazionali dei paesi donatori, sia sulle possibilità di assorbimento e la capacità di accoglienza dei paesi più prossimi alle aree di crisi dei rifugiati.

"Vorrei raccontarvi una storia, una delle più tragiche dei nostri tempi", inizia così il messaggio della cantautrice romana Giorgia, testimonial UNHCR per la Giornata Mondiale del Rifugiato 2014 "Di milioni di famiglie costretta a fuggire. Troppo spesso è una storia di orrore, paura e perdita..."

Il messaggio della cantante Giorgia per la Giornata Mondiale del Rifugiato

Rifugiato diciannovenne in Uganda © UNHCR / F. Noy
Rifugiata del Mali  nel campo di Sag-Nionogo camp in Burkina Faso © UNHCR/ O. Pain
Profughi siriani © UNHCR / J. Tanner
Profughi interni in Colombia © UNHCR / S. Rich
Anziana sfollata interna nelle Filippine insieme al nipote © UNHCR / S. Sambutuan
 Kochi Abad, Afghanistan © UNHCR / S. Sisomsack
Thailandia, il campo profughi in Ban Mai Nai Soi © UNHCR / S. Rich

lunedì 16 giugno 2014

Il calcio italiano ha ucciso la Nazionale

Basta violenza e razzismo nel calcio italiano!
Dopo l’ennesimo campionato di Serie A scandito da polemiche, violenza, scorrettezze e razzismo, di tifare per la Nazionale italiana mi è passata la voglia.

di Luca Ferrari

Cori razzisti, ridimensionati. Violenza dentro e fuori gli stadi, sottovalutata. Si è disputato in Italia un altro patetico campionato di calcio con la ciliegina sulla torta la celebre performance di Genny a Carogna nella finale di Coppa Italia. Un copione noioso, volgare e tragicamente già visto. Le istituzioni però hanno ancora il coraggio di chiamarli - fatti isolati -. Ogni anno, ogni partita e ogni giornata, fatti isolati. Dopo tutto questo, Mondiali o non Mondiali, di tifare per il calcio italiano mi è proprio passata la voglia.

Giusto qualche scampolo di memoria del trionfo '82 con il dolce sapore del succo d'arancia Billy per brindare all'epico 3-2 dell'Italia sui Brasile, poi il Messico '86 con un baro trasformato in eroe (divino addirittura) e le notti (quasi) magiche infrante ai calci di rigore quattro anni dopo. Tocca poi a quell'anomalo Roberto Baggio far sognare il popolo Azzurro, per poi infilare una sequenza di edizioni poco più che mediocri in Francia, Giappone/Corea e Sudafrica, con in mezzo il trionfo tedesco nel 2006.

Brasile, 20° edizione dei Campionati Mondiali di calcio. Sabato 14 giugno 2014. All'Arena da Amazônia la Nazionale italiana affronta l’Inghilterra nella sua prima partita del Gruppo D. Gli Azzurri s'impongono con merito 2-1. Sarà stata l’ora tarda, sarà stata la stima per il calcio d’Oltremanica, sarà stata qualsiasi altra cosa ma una volta sentito il triplice fischio del direttore di gara, ho solo provato una gran voglia di dormire e nessun sentimento di gioia.

Festeggiare cosa? La Nazionale ha lo strano merito di unire una nazione per 90 minuti, salvo poi ritrovarsi ad augurare che un vulcano cancelli intere regioni, sbeffeggiare tragedie aeree ed ex-calciatori non più vivi, ricordando pure con disprezzo i morti negli stadi. Il razzismo poi, quello neanche viene considerato. Tutto questo ogni maledetta domenica di calcio italiano.

Milano, 7° giornata di ritorno dell’89° campionato di Serie A. Domenica 10 marzo 1991. Allo stadio San Siro si sfidano Inter e Juventus. Dal basso dei miei acerbi quindici anni assisto scioccato a cori degni del Ku Klux Klan. Ogni volta che il difensore brasiliano Julio Cesar (bianconero) tocca il pallone, tutti i tifosi interisti a urlare – uh uh uh uh – con tanto di gesto da scimmia. Qualcosa che tragicamente ricorda le recenti e indecorose esternazioni leghiste del vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli all’allora Ministro dell’Integrazione (oggi euro-parlamentare), Cecile Kyenge.

Da allora sono passati 23 stagioni. Da allora si è continuato imperterriti. Da allora i cori offensivi ai giocatori di colore non sono mai cessati. E le istituzioni sempre a minimizzare. A stigmatizzare una piaga. E le istituzioni, così come molti giocatori, a ribadire che tanto c’è sempre stato e che è una prerogativa di pochi. Perfino a criticare l’attuale ct (italiano) della Russia, Fabio Capello, quando anni fa disse a chiare lettere che l’Italia calcistica è in mano agli ultras. E questi “tifosi” sono talmente pochi che ogni domenica in tutti gli stadi si fanno sempre sentire.

A tutto ciò va aggiunto un senso di anti-sportività devastante. In campo si vedono scene da attori che neanche il tre volte premio Oscar Daniel Day-Lewis saprebbe riproporre sul grande schermo con siffatta convinzione e intensità. Ma il calcio è un gioco maschio, piace ripetere. Quindi per logica devo dedurre che “uomo” è sinonimo di scorretto e razzista? Ogni sconfitta viene sempre giustificata con alibi, prima durante e dopo. Sublimazione di questo demenziale girone umano, l'arbitro. Capro espiatorio di una cultura (italiana) tragicamente provinciale.

In occasione della suddetta partita mondiale contro l'Inghilterra, già si gridava allo scandalo per le pessime condizioni del terreno di gioco e il clima. Cosa dovrebbero dire allora i tennisti quando "si prendono a pallate" per ore in Australia, d'estate, ogni giorno, sotto un sole incandescente e per di più da soli, correndo 10 volte quanto un calciatore? Niente. Fanno il loro dovere e basta perché sono, evidentemente, professionisti più seri e meno viziati.

Potrai anche non fartene nulla del mio tifo calcistico, Italia, ma sappi che lo hai perduto. Il mondo del calcio italiano è nauseante e ormai non mi basta più il viso pulito e speranzoso del commissario tecnico della Nazionale italiana Cesare Prandelli cui va tutta la mia più sincera stima. No, semplicemente, basta. Semplicemente vorrei vedere qualcosa di diverso. Vorrei un cambiamento. Almeno dalla mia casa, l'Italia.

Le auguro il meglio, Mister Cesare Prandelli

domenica 15 giugno 2014

Danze Mondiali per il Rifugiato

Un esibizione delle Tribal Troubles © Massimo Majakovskij
La danza orientale per l'Umanità. Venerdì 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, è di scena Belly Charity: Dance for the Refugees.

di Luca Ferrari

Anime in fermento. Stimoli universalmente culturali. Parti coreografici. L’arte si fonde con le contaminazioni dell’esperienza quotidiana. Una nuova energia sempre diversa irrompe nella mutevole esistenza umana. È appena cominciata una nuova performance di danza orientale. Danza orientale nel nome degli Esseri Umani. Danze orientali per tutte quelle migliaia di vite in fuga da violenze, abusi e guerre. Danze orientali per accogliere persone in difficoltà regalando loro quel sentimento di unione e fratellanza in una nuova casa.

Istituita dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato.

“Credo che la danza orientale sia potenzialmente in grado di favorire un processo di unione tra i popoli nel momento in cui accoglie in sé elementi di altre culture.  Non può però farlo da sola” sottolinea Virginia Danese, mediatrice culturale con gli immigrati e rifugiati politici nonché membro del gruppo milanese Tribal Troubles che si esibirà in occasione della Giornata del Rifugiato 2014, “È necessario che la danzatrice abbia una certa apertura mentale che la spinga ad approfondire altre danze e culture. Una volta accolti i loro elementi nella danza orientale, sarà più semplice favorire la diffusione e la conoscenza di una cultura condivisa capace di eliminare tutti i confini”.

Venerdì 20 giugno dunque, a partire dalle 21.30 presso il Teatro Edi Barrio's di Milano (via Boffalora ang. via Barona), è di scena Belly Charity: Dance for the Refugees. Nel corso della serata si esibiranno le Tribal TroublesVirginia DaneseValeria HuraivaNicole CurtiNausicaa Jennifer Tudisca, Jamila ZakiValeria Guatta e le Monedas al AguaDark 'n WhiteIndustrial TribeGruppo Percussioni ZagharidGaia Dunya RaiSabrina SartoriGruppo di Danza Classica PersianaPercussioni Afro con Associazione KaramogoDanza Afro con Afro GirlsDanza Indiana Bharata Natyam con le allieve di Daria Mascotto, infine le allieve delle già citate TT Virginia e Valeria.

Con un biglietto d’ingresso di 5 euro, l'intero ricavato sarà devoluto all'Associazione Casa di Betania Onlus che gestisce da 26 anni un centro di accoglienza per rifugiati politici e richiedenti asilo. Attualmente la struttura ospita 20 persone provenienti per la maggior parte dall’Africa Sub SaharianaCosta d'Avorio e ultimamente molti dal Mali, oltre a qualche afghano e pakistano.

Sebbene ancora troppo vista come danza di seduzione, anno dopo anno la danza orientale avanza sempre più spedita nella cultura italiana decisa a imporsi per il significato con cui realmente è nata e viene sempre più praticata. Artefici di questa affermazione ovviamente loro, le danzatrici e insegnanti.

“Ho avuto la fortuna di studiare con la grande maestra Jamila Zaki che mi ha trasmesso il rispetto per questa danza, senza limitarsi alla sola tecnica ma approfondendo le sue origini culturali, le tradizioni di folklore in cui s’inserisce, la musica e i ritmi che la accompagnano” continua Virginia, “Mi ha insegnato a insegnarla in questo modo, senza farla diventare mai competitiva ma rendendola il mezzo con cui ogni donna riesce a sentirsi Donna nel proprio corpo, imparando a conoscerlo e accettarlo con le imperfezioni che tutte abbiamo”.

Formatesi nell'inverno 2011, le Tribal Troubles sono già alla seconda esibizione nella Giornata Mondiale del Rifugiato. Nel percorso umano di ciascuna delle quattro protagoniste, prima ancora di quello artistico, si trovano singole esperienze nel sociale. Una sensibilità dunque di base poi sviluppata ulteriormente con la danza orientale e messa a disposizione di una causa umanitaria.

“Per noi è molto importante iniziare a sensibilizzare i giovani sui temi del volontariato sociale e, in questo caso specifico, sull’asilo politico” conclude Virginia, “Iniziative come Belly Charity sono da incoraggiare e incentivare. In questo modo si riuscirà anche a dare un contributo importante per una nuova visione della danza orientale. L’asilo politico è un tema ancora troppo sconosciuto e la maggior parte ignora la differenza tra un immigrato cosiddetto economico, che per scelta ha deciso di emigrare, e un rifugiato politico, che è stato costretto a farlo a causa di persecuzioni per i motivi più svariati, non solo necessariamente politici, ma religiosi, di genere, di pensiero”.

 
Tribal Troubles live nella Giornata del Rifugiato 2013

Virginia Danese (Tribal Troubles) © Lisa Conti
Un esibizione delle Tribal Troubles © Lisa Conti
La danzatrice Gaia Dunya Rai
Il duo Dark n' White
L'ensemble Monedas Al Agua
Belly Charity 2014
Un esibizione delle Tribal Troubles © Riccardo Ragazzo