lunedì 16 giugno 2014

Il calcio italiano ha ucciso la Nazionale

Basta violenza e razzismo nel calcio italiano!
Dopo l’ennesimo campionato di Serie A scandito da polemiche, violenza, scorrettezze e razzismo, di tifare per la Nazionale italiana mi è passata la voglia.

di Luca Ferrari

Cori razzisti, ridimensionati. Violenza dentro e fuori gli stadi, sottovalutata. Si è disputato in Italia un altro patetico campionato di calcio con la ciliegina sulla torta la celebre performance di Genny a Carogna nella finale di Coppa Italia. Un copione noioso, volgare e tragicamente già visto. Le istituzioni però hanno ancora il coraggio di chiamarli - fatti isolati -. Ogni anno, ogni partita e ogni giornata, fatti isolati. Dopo tutto questo, Mondiali o non Mondiali, di tifare per il calcio italiano mi è proprio passata la voglia.

Giusto qualche scampolo di memoria del trionfo '82 con il dolce sapore del succo d'arancia Billy per brindare all'epico 3-2 dell'Italia sui Brasile, poi il Messico '86 con un baro trasformato in eroe (divino addirittura) e le notti (quasi) magiche infrante ai calci di rigore quattro anni dopo. Tocca poi a quell'anomalo Roberto Baggio far sognare il popolo Azzurro, per poi infilare una sequenza di edizioni poco più che mediocri in Francia, Giappone/Corea e Sudafrica, con in mezzo il trionfo tedesco nel 2006.

Brasile, 20° edizione dei Campionati Mondiali di calcio. Sabato 14 giugno 2014. All'Arena da Amazônia la Nazionale italiana affronta l’Inghilterra nella sua prima partita del Gruppo D. Gli Azzurri s'impongono con merito 2-1. Sarà stata l’ora tarda, sarà stata la stima per il calcio d’Oltremanica, sarà stata qualsiasi altra cosa ma una volta sentito il triplice fischio del direttore di gara, ho solo provato una gran voglia di dormire e nessun sentimento di gioia.

Festeggiare cosa? La Nazionale ha lo strano merito di unire una nazione per 90 minuti, salvo poi ritrovarsi ad augurare che un vulcano cancelli intere regioni, sbeffeggiare tragedie aeree ed ex-calciatori non più vivi, ricordando pure con disprezzo i morti negli stadi. Il razzismo poi, quello neanche viene considerato. Tutto questo ogni maledetta domenica di calcio italiano.

Milano, 7° giornata di ritorno dell’89° campionato di Serie A. Domenica 10 marzo 1991. Allo stadio San Siro si sfidano Inter e Juventus. Dal basso dei miei acerbi quindici anni assisto scioccato a cori degni del Ku Klux Klan. Ogni volta che il difensore brasiliano Julio Cesar (bianconero) tocca il pallone, tutti i tifosi interisti a urlare – uh uh uh uh – con tanto di gesto da scimmia. Qualcosa che tragicamente ricorda le recenti e indecorose esternazioni leghiste del vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli all’allora Ministro dell’Integrazione (oggi euro-parlamentare), Cecile Kyenge.

Da allora sono passati 23 stagioni. Da allora si è continuato imperterriti. Da allora i cori offensivi ai giocatori di colore non sono mai cessati. E le istituzioni sempre a minimizzare. A stigmatizzare una piaga. E le istituzioni, così come molti giocatori, a ribadire che tanto c’è sempre stato e che è una prerogativa di pochi. Perfino a criticare l’attuale ct (italiano) della Russia, Fabio Capello, quando anni fa disse a chiare lettere che l’Italia calcistica è in mano agli ultras. E questi “tifosi” sono talmente pochi che ogni domenica in tutti gli stadi si fanno sempre sentire.

A tutto ciò va aggiunto un senso di anti-sportività devastante. In campo si vedono scene da attori che neanche il tre volte premio Oscar Daniel Day-Lewis saprebbe riproporre sul grande schermo con siffatta convinzione e intensità. Ma il calcio è un gioco maschio, piace ripetere. Quindi per logica devo dedurre che “uomo” è sinonimo di scorretto e razzista? Ogni sconfitta viene sempre giustificata con alibi, prima durante e dopo. Sublimazione di questo demenziale girone umano, l'arbitro. Capro espiatorio di una cultura (italiana) tragicamente provinciale.

In occasione della suddetta partita mondiale contro l'Inghilterra, già si gridava allo scandalo per le pessime condizioni del terreno di gioco e il clima. Cosa dovrebbero dire allora i tennisti quando "si prendono a pallate" per ore in Australia, d'estate, ogni giorno, sotto un sole incandescente e per di più da soli, correndo 10 volte quanto un calciatore? Niente. Fanno il loro dovere e basta perché sono, evidentemente, professionisti più seri e meno viziati.

Potrai anche non fartene nulla del mio tifo calcistico, Italia, ma sappi che lo hai perduto. Il mondo del calcio italiano è nauseante e ormai non mi basta più il viso pulito e speranzoso del commissario tecnico della Nazionale italiana Cesare Prandelli cui va tutta la mia più sincera stima. No, semplicemente, basta. Semplicemente vorrei vedere qualcosa di diverso. Vorrei un cambiamento. Almeno dalla mia casa, l'Italia.

Le auguro il meglio, Mister Cesare Prandelli

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